Depenalizzazione resta il risarcimento
anche senza la condanna penale
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 – 23 febbraio 2016, n. 7124
Presidente Lapalorcia – Relatore Pistorelli
Ritenuto in fatto
1.Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Palermo, per quanto qui d’interesse, ha confermato la condanna di Mercantile Leasing s.p.a. quale responsabile civile al risarcimento (nonché al pagamento della statuita provvisionale) in solido con l’imputata dei danni cagionati alle parti civili dalla consumazione da parte di P.G.M. del reato di falso in scrittura privata.
2. Avverso la sentenza ricorre il responsabile civile – ora incorporato nel Banco Popolare soc. coop. – che deduce errata applicazione della legge penale e vizi della motivazione in ordine alla ritenuta identificazione della Mercantile leasing s.p.a. quale responsabile civile per i danni cagionati dalla P. in concorso con l’amministratore della T.A.C. Sicilia s.r.l. attraverso la falsificazione delle firme dei soci della medesima in calce alle fideiussioni prestate a garanzia dei contratto di locazione finanziaria stipulato con la menzionata Mercantile Leasing. In tal senso la ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto integrata la fattispecie di cui all’art. 2049 c.c. e comunque omesso di motivare (ovvero motivato in
3. Con memoria depositata il 18 gennaio 2016 il difensore delle parti civili ha depositato memoria a confutazione dei motivi di ricorso.
Considerato in diritto
1. E’ innanzi tutto necessario rilevare come ai sensi dell’art.1 d. Igs. 15 gennaio 2016 n. 7 (entrato in vigore lo scorso 6 febbraio essendo stato pubblicato sulla Gazz. Uff. n. 17 del 22 gennaio 2016) è stato abrogato l’art. 485 c.p. con conseguente trasformazione in mero illecito civile del fatto per cui la P. è stata condannata – oramai in via definitiva non avendo ella proposto ricorso – e che costituisce il presupposto delle statuizioni civili per cui è ricorso.
1.1 Va peraltro ribadito l’oramaiconsolidato insegnamento di questa Corte per cui la eventuale revocadella sentenza di condanna per abolitio criminis ai sensi dell’art. 2, comma secondo, c.p. conseguente alla perdita del carattere di illecito penale del fatto, non comporta il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto, con la conseguenza che la sentenza non deve essere revocata relativamente alle statuizioni civili derivanti da reato, le quali continuano a costituire fonte di obbligazioni efficaci nei confronti della parte danneggiata (Sez. 5, n. 4266/06 dei 20 dicembre 2005, Colacito, Rv. 233598; Sez. 5, n. 28701 del 24 maggio 2005, P.G. in proc. Romiti ed altri, Rv. 231866; Sez. 6, n. 2521 del 21 gennaio 1992, Dalla Bona, Rv. 190006). In altri termini deve essere ribadito il principio per cui, quando un fatto costituisce illecito civile nel momento in cui è stato commesso, su di esso non influiscono le successive vicende riguardanti la punibilità del reato ovvero la rilevanza penale di quel fatto e cioè quello della “indifferenza” dei capi civili della sentenza rispetto alla sorte della regiudicanda penale (Sez. 6, n. 31957 del 25/01/2013 – dep. 23/07/2013, Cordaro e altri, Rv. 255598).
1.2 Ed infatti l’abrogazione della norma penale in presenza di una condanna irrevocabile comporta la revoca della sentenza da parte del giudice dell’esecuzione,ma limitatamente ai capi penali e non anche a quelli civili, la cui esecuzione ha comunqueluogo secondo le norme del codice di procedura civile: sicché se vi è stata costituzione di parte civile, con conseguente condanna al risarcimento dei danni a carico dell’imputato o del responsabile civile, questa statuizione resta ferma (cfr., Corte cost., ord. n. n. 273 del 2002, in cui si sottolinea come la formula assolutoria adottata a seguito della sopravvenuta abrogazione della norma incriminatrice “non è fra quelle alle quali l’art. 652 c.p.p. attribuisce efficacia nel giudizio civile”). Infatti, se l’art. 2 c.p. disciplina espressamente la sola cessazione dell’esecuzione e degli effetti penali della condanna, ne deriva, attraverso un’argomentazione a contrario, che le obbligazioni civili derivanti dal reato abrogato non cessano, in quanto per il diritto del danneggiato al risarcimento dei danni trovano applicazione i principi generali sulla successione delle leggi stabiliti dall’art. 11 preleggi, non quelli contenuti nel citato art. 2 c.p.
2. Acclarata dunque l’attitudine delle statuizioni civili pronunziate nel giudizio di merito
a sopravvivere all’intervenuta abrogazione della rilevanza penale del fatto il cui accertamento le hanno giustificate e precisato che nel caso di specie non si pone la questionedell’applicazione delle sanzioni pecuniarie civili configurate dallo stesso d. Igs. n. 7/2016 (in quanto pacificamente le stessesono destinate al solo autore dell’illecito), deve procedersi all’esame del ricorso, che peraltro è infondato. 2.1 Per conforme orientamento della giurisprudenza tanto civile quanto penale di questa Corte, ai fini della responsabilità solidale ex art. 2049 c.c. del committente è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dal preposto, che ricorre quando l’illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti da questo svolti, anche se egli ha agito oltre i limiti delle sue, incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti (ex multis e tra le più recenti Sez. 6, n. 17049 del 14 aprile 2011, M. e altri, Rv. 250498; Sez. 6 civ., n. 20924 del 15 ottobre 2015, Rv. 637475). In tal senso da molti anni l’insegnamento di questa Corte è parimenti consolidato nel senso che non è necessario che sussista uno stabile rapporto di lavoro subordinato tra i due soggetti, essendo sufficiente che l’autore del fatto illecito sia legato al committente anche solo temporaneamente od occasionalmente e che l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso (ex muitis Sez.5, n. 32461 del 22 marzo 2013, R.C. e Bogui, Rv. 257115). 2.2 Con specifico riguardo al rapporto di agenzia – cui deve essere ricondotto quello intercorrente trala Mercantile Leasing e la P. – secondo i più risalenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità l’attivita dell’agente o del procacciatore di affari non costituirebbe un vincolo con il committente idoneo ad integrare i presupposti per l’operatività dell’art. 2049 c.c. (Sez. 3 civ. n. 1963 del 24 marzo 1980, Rv. 405594; Sez. 3 civ. n. 5195 del 13 giugno 1987, Rv. 453801) ovvero che l’attività dell’agente, in quanto mandatario dei preponente, costituirebbe fonte di responsabilità indiretta del mandante solo quando l’agente si sia avvalso della sua qualità di rappresentante per consumare l’illecito (Sez. 3 civ. n. 12945 del 19 dicembre 1995, Rv. 495135).
2.3 Tali indirizzi – cui in definitiva si ispirano le doglianze della ricorrente – erano invero ancora profondamente influenzati da una interpretazione restrittiva del disposto dell’art. 2049 c.c., che negli ultimi quindici anni ha invece subito una decisa revisione nel senso dell’affrancamento del concetto di occasionalità necessaria dal contesto formale del rapporto intercorrente tra committente e preposto. Deve pertanto ritenersi oramai ius receptum che quella delcommittente è una responsabilità di natura oggettiva ispirata a regole di solidarietà sociale, tesa ad attribuire – secondo la teoria della distribuzione dei costi e dei profitti – l’onere dei rischio a colui chesi giova dell’opera di terzi. Ed in quest’ottica la giurisprudenza civile, in tempi più recenti, è giunta a riconoscere la responsabilità del committente per l’attività illecita posta in essere dall’agente anche privo del potere di rappresentanza, richiedendosi in tal senso soltanto che la commissione dell’illecito sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze demandate a quest’ultimo e che il committente abbia avuto la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (Sez. 3 civ. n. 14578 del 22 giugno 2007, Rv. 598802; si v. anche Sez. 3 civ. n. 1516 del 24 gennaio 2007, Rv. 594385 ad oggetto fattispecie con forti analogie a quella oggetto del presente procedimento). 2.4 II contratto di agenzia non è dunque, di per sé, estraneo all’ambito di applicazione dell’art. 2049 c.c., nemmeno nell’ipotesi in cui il suo contenuto sia quello del mandato senza rappresentanza.
2.5 Nel caso di specie i giudici di merito, in entrambi i gradi di giudizio, hanno esaurientemente argomentato in ordine alla sussistenza del presupposto dell’occasionalità necessaria, facendocorretta applicazione dei principi testè ricordati e rinvenendo precisi sintomi di un rapporto di preposizione rilevante ai sensi della disposizione da ultima citata di cui, in ultima sostanza, il ricorso si limita a proporre una assertiva lettura alternativa soggettivamenteorientata. In realtà dagli stessi elementi evidenziati dalla ricorrente emergono i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per il riconoscimento della responsabilità indiretta dei committente. Infatti, l’attribuzione alla Mercantile Leasing dei potere esclusivo di conclusione del contratto di locazione finanziaria implica quello di vigilanza sul corretto adempimento da parte dell’agente dei compiti demandategli dalla committente, anche tenuto conto della peculiare natura dell’attività di intermediazione finanziaria svolta dalla ricorrente e della disciplina cui è sottoposta anche con riferimento ai rapporti con i collaboratori esterni. Ed in tal senso emerge come sostanzialmente la presunta autonomia dell’agente fosse in realtà assai limitata, operando egli nell’ambito delle direttive impartite dal committente in sintonia con quanto previsto dalla normativa di settore e senza il potere di intervenire sul contenuto dei rapporti con la clientela. Per contro, sebbene limitatamente ai canoni anticipati, all’agente – per come emerge dall’art.7 dei contratto di agenzia riportato nel ricorso – era stato attribuito un potere di riscossione che, al di là delle modalità di espletamento, qualifica il rapporto con il committente in termini assai più intensi di quelli prospettati dalla ricorrente e rileva il suo inserimento nel’organizzazioned’impresa della Mercantile Leasing.
3. II ricorso deve conseguentemente essere rigettato e il ricorrente condannato ai pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione delle spese di parte civile che si liquidano liquidate in complessivi euro 2.500 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta i 1 ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione delle spese di parte civile che liquida in complessivi euro 2.500 oltre accessori di legge.